giovedì 19 aprile 2007
mercoledì 18 aprile 2007
I Ds della Toscana per Ségolène Royal
Appello al voto di Manciulli, Martini e Domenici | |
Firenze, 16 aprile 2007 - Domenica prossima 22 aprile e domenica 6 maggio i cittadini francesi sono chiamati al voto per l'elezione del presidente della Repubblica. Saranno circa 4mila i francesi residenti in Toscana che si sono registrati nelle apposite liste e che potranno votare al seggio elettorale allestito al Consolato francese di Firenze, dalle 8 alle 18. In Toscana è stato costituito un comitato regionale dei francesi residenti in Italia a sostegno a Ségolène Royal, che ha inviato in questi giorni una lettera ai francesi residenti nella regione per invitarli a votare la candidata del Partito socialista francese e hanno organizzato un incontro pubblico per venerdì 20 aprile alle 18.30, presso la sede dell'associazione "Toscana Europa" a Firenze (via degli Artisti 11/B). Il segretario regionale dei DS toscani, Andrea Manciulli, il presidente della Regione Claudio Martini e il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, questa mattina, insieme ai rappresentanti del Comitato hanno lanciato un appello al voto per Ségolène Royal. "E’ importante in questo momento per i DS contribuire al risultato di Ségolène Royal – ha detto Andrea Manciulli -. La sua elezione può rappresentare una novità di rinnovamento e cambiamento in tutta Europa. Siamo a fianco del nostro partito fratello, anche per il peso che queste elezioni possono avere per il rafforzamento del Partito socialista europeo". "Ségolène è attenta a portare miglioramenti concreti alle condizioni di vita dei cittadini, come ha dimostrato in questi anni da presidente di Regione – ha detto Gaelle Barrè, del comitato toscano per Ségolène Royal -. Penso che la sua elezione darebbe una spinta forte a tutte le donne che vogliono partecipare alla vita politica dei loro paesi. La sua candidatura in occasione delle primarie all’interno del Partito Socialista ha spinto tante persone a iscriversi nelle liste elettorali, tanti giovani, donne e cittadini di origini straniere, per il suo messaggio di partecipazione e di rinnovamento della politica. Anche a me è venuta voglia di impegnarmi nella sua campagna per il simbolo che rappresenta la sua candidatura". "Chiamiamo tutti i francesi ad andare a votare, domenica prossima, da qualsiasi parte della Toscana si trovino. Il voto di ognuno di noi è utile, perché la vittoria si giocherà a un minimo scarto di voti, fosse solo per evitare un secondo turno tra Le Pen e Sarkozy", ha detto Raphaël Calvelli, altro membro del comitato dei francesi per Ségolène Royal. Per informazioni sull’attività del comitato toscano dei francesi residenti in Italia per Ségolène Royal: www.italie.parti-socialiste.fr, ps.florence@gmail.com, tel.320 6179829. |
martedì 17 aprile 2007
sabato 7 aprile 2007
Pietro Grasso a Pelago. Iniziativa della Sinistra Giovanile Valdisieve in collaborazione con Arci e Libera contro le mafie.

Lunedì 16 Aprile
ore 18,00
Circolo Arci Pelago
Piazza Ghiberti
Pelago (Fi)
Incontro con:
Pietro Grasso
Procuratore nazionale Antimafia
Partecipano rappresentanti di:
Democratici di Sinistra, Sinistra Giovanile, Arci, Cgil, Libera.
ore 20,00
Cena della Legalità (15 euro)
Il ricavato della cena finanzierà l'acquisto di un trattore per la cooperativa antimafia "Lavoro e non solo" che opera sui terreni confiscati alle mafie.
Siete tutti invitati.
4° Congresso Nazionale DS di Firenze: MANIFESTI E VOLONTARIATO
giovedì 5 aprile 2007
Compagni, dove andate?

Commento di Alfredo Reichlin, da "L'Unità"
Stanno cambiando molte cose nella realtà italiana. Non parlo di schieramenti politico parlamentari. Ricavo questa impressione anche dai nostri congressi che non sono stati una piccola cosa: 250mila persone che non solo votano ma discutono per giorni sulle grandi idee laddove da anni si parlava solo di assessori e di liste elettorali. Perché si finge di non vedere? Dovevamo scioglierci senza nemmeno fare un congresso? La debolezza non sta in ciò ma nei contenuti. Non ho titolo per fare appelli unitari.
Chiedo solo, a me stesso e a noi tutti, di non considerare chiusa la discussione. Non reggono i no pregiudiziali. Noi non stiamo cercando di fare un altro partito analogo a quelli tradizionali ma spostato un po’ più a destra o un po’ più a sinistra. Il grande fatto da cui partiamo è che siamo di fronte a una vera e propria cesura, una discontinuità, all’esaurirsi della storia politica che si aprì in Italia con la sconfitta del fascismo e l’avvento della repubblica democratica italiana. Siamo di fronte a una crisi molto seria della democrazia. Perciò non ha senso dividersi su vecchie classificazioni che non colgono la realtà dello scontro politico italiano. Il quale mi appare sempre più condizionato da lobbies, consorterie e da un reticola di poteri di fatto che contano più di ciò che resta di molti dei vecchi partiti. Ma accanto è nata anche un’altra Italia. Si aprono nuovi spazi per la sinistra però a una condizione: che ci misuriamo con una soggettività politica e culturale più moderna che ormai preme sotto la pelle del paese e che guarda al mondo con occhi abbastanza diversi dai nostri.
Forse io mi sbaglio ma l’impressione che ho ricavato in giro per l’Italia è questa. Esistono le condizioni (per ora solo alcune delle condizioni) perché le forze progressiste possano riprendere l’iniziativa democratica, dopo il lungo dominio, anche culturale, della rivoluzione conservatrice che da quasi trenta anni ha posto la sinistra sulla difensiva. L’impressione è che la situazione si è rimessa in movimento (vedi anche i sommovimenti nel centro-destra) e diventa possibile uscire dalla chiacchera televisiva serale per riproporci l’obiettivo su cui da 15 anni pestiamo acqua nel mortaio, nonostante la retorica ulivista, e che è quello di dare all’Italia non soltanto il solito elenco di cose da fare che chiamiamo programma ma una guida politica, e anche morale, una etica pubblica condivisa, insomma una nuova ossatura che ci possa consentire di reggere alle sfide del mondo.
Tutto sarà molto difficile. Ma diventerebbe impossibile se non avessimo il coraggio di uscire dai vecchi confini della sinistra storica e non rompessimo la gabbia di un sistema politico fatto di una ventina di partiti impotenti e rissosi, ferocemente attaccati alle loro cosidette identità ma incapaci di prendere le grandi decisioni di riforma che non possono più aspettare. Davvero una scissione sarebbe molto triste, oltre che dannosa. Dove vanno questi compagni? Vogliono rifondare il socialismo italiano? È un proposito che merita tutto il rispetto. Ma spero ci si renda conto che questo proposito (come il nostro disegno, del resto) è destinato a fallire se l’Italia finisce ai margini di un mondo investito dai mutamenti più sconvolgenti della storia moderna e rischia di rivivere la tragedia di una grande nazione che si sfarina nei particolarismi, nelle faide, nelle dispute nominalistiche, nelle guerre di religione e smarrisce quella essenziale idea di sé la quale non può consistere solo nel rapporto col passato ma nella fiducia nel futuro, cioè in quello che è il suo posto nel mondo del Terzo millennio.
Davvero le grandi parole «socialismo», «riformismo», «comunismo», diventano pura chiacchera se non si affronta questa questione. Come porre lo sviluppo economico e civile su una base solida, tale da riempire il vuoto lasciato dal crollo della prima repubblica. Berlusconi non è venuto dall’estero, ha occupato questo vuoto. E il saccheggio dei beni pubblici, l’egoismo sociale, l’avvento di un mondo volgare di arricchiti, mentre il lavoro è diventato in gran parte merce precaria, dove la scienza è ridotta al lumicino e la cultura è quella cosa avvilente che vediamo la sera in televisione, dove la politica è dominata da avventurieri senza scrupoli che ricattano i governi con il loro uno o due per cento di voti, tutto questo è la spia di una cosa molto seria su cui sarebbe doveroso riflettere insieme. La sinistra italiana, da sola, (e nei fatti ciò che di essa era restato dopo l’89) non è stata in grado - e forse non poteva - dar vita a un nuovo assetto democratico della Repubblica. E non per l’opportunismo e la pochezza dei suoi dirigenti. Né perché non ci siamo pentiti abbastanza del passato e non abbiamo sciolto le righe ma essenzialmente per il fatto che i poteri economici, finanziari, culturali cresciuti con la mondializzazione non erano più governabili con i vecchi strumenti della sinistra novecentesca (dallo Stato nazionale, ai vecchi partiti e sindacati modellati dalla società industriale).
Le novità sono enormi. Ed è quindi sacrosanto ripetere che la costruzione del partito Democratico è ben altra cosa che mettere d’accordo i dirigenti degli attuali partiti, i Ds e la Margherita, per aggiungere o sostituire un altro partito a quelli esistenti. Si tratta di dar vita a una nuova soggettività politica cioè a un nuovo pensiero collettivo capace di leggere questo nuovo mondo. I partiti sono questo oppure non sono niente. Bisogna rompere la crosta della politica politicante per coinvolgere (e questo sarà lo sforzo che ci impegnerà nei prossimi mesi) quei tanti italiani che lavorano, intraprendono, girano il mondo, che rappresentano la parte più viva del Paese, ma che non sopportano più il narcisismo di una vecchia nomenclatura politica che si specchia sulle proprie ambizioni personali. L’Italia non ce la farà se gli italiani non si rimettono in movimento, se non si colma la distanza enorme che si è creata tra i giovani e la politica. La scommessa del partito democratico nella sostanza è questa. È rianimare la fiducia, far partecipare la gente.
Io sono convinto che la riforma delle riforme è questa. I programmi vengono dopo, nè bastano le «teste d’uovo» e i professori di un riformismo senza popolo. C’è una assoluta necessità di rialzare la bandiera dell’uguaglianza. Ma tutti (i sindacati compresi) devono sapere che la lotta per la giustizia sociale non è più separabile da un processo più profondo di ricomposizione di una società e di uno Stato che sono drammaticamente segmentati, corporativizzati e divisi anche territorialmente. Il compito principale della sinistra è questo. È come coinvolgere la società in un movimento reale di riscossa democratica. Il tema di fondo è come affrontare i problemi della democrazia moderna, cioè come organizzare un nuovo tessuto democratico nell’epoca della esistenza di poteri di fatto mondializzati che hanno svuotato la sovranità popolare. Senza di che le nostre dispute interne rischiano di essere vane e ognuno di noi può divertirsi a proporre quello che vuole, il socialismo o la luna nel pozzo, tanto poi altri -banche centrali, multinazionali, poteri informali- prenderanno le grandi decisioni, le quali non sono più alla portata degli stati nazionali. Le conseguenze sono quelle che vediamo. Non mi nascondo affatto che il nuovo partito dovrà convivere con posizioni moderate e con culture di tipo liberistico e individualistico. Ma so anche che il vecchio dilemma Stato-mercato, masse-individuo appartiene al passato. Il cuore del contrasto oggi è il rapporto tra la società e la forma di mercato imposta dal capitalismo finanziario.
Qualcuno è preoccupato per il peso della tradizione comunista. Io lo sono per ciò che minaccia la libertà dei moderni. Perché non regge più (pena fenomeni nuovi di disgregazione e di imbarbarimento) quella potente ideologia secondo cui il mercato non è solo, come è giusto che sia, lo strumento indispensabile che garantisce i liberi scambi economici ma è nel campo economico la impossibilità di investire se non a breve termine e nel campo sociale decisore pressochè assoluto del destino di ogni essere vivente, ricco o povero, bianco o nero. Col risultato (ecco il paradosso) che l’individuo tanto esaltato diventa un numero, un potere d’acquisto, un consumatore e non più una persona, intendendo per persona quell’essere vivente che ha trasformato la natura in quanto ha creato il legame sociale e ha espresso quelle straordinarie capacità - solo dell’uomo - che non vengono dai muscoli ma dalla memoria, dall’intelligenza, dalle speranze, dalla spiritualità, dai sogni. Ma è esattamente questo che oggi viene in discussione. Ecco ciò che dovrebbe angosciare molto i vescovi, non i Dico. E proprio per questo noi dobbiamo insistere sulla necessità di un dialogo e non accettare il terreno dello scontro tra fede e ragione. Perché qui sta la nostra forza.
È la ragione, è l’umanesimo laico che ci spingono al dialogo. Perchè dove va il mondo se il dilemma è scegliere tra il cinico «carpe diem» e il fanatismo identitario e religioso? Se, quindi, l’individuo lasciato solo non riesce a fare appello a quell’immenso deposito di risorse culturali, solidaristiche, affettive che la mercatizzazione della società sta distruggendo?
La difesa dello Stato laico è irrinunciabile. Ma ciò che davvero lo minaccia è lo sfacciato uso politico della religione che sempre più viene fatto da parte di una destra libertina e miscredente benedetta dal cardinal Ruini in nome di un redivivo connubio tra trono e altare. Perché non llo si dice invece di fare fuoco e fiamme contro il Partito democratico (definito un neo-compromesso storico) con l’argomento che da qui viene la minaccia alla laicità dello Stato. Ma è vero il contrario. Quei cattolici democratici che difendeno laicamente il loro diritto di unirsi alla sinistra e di legiferare liberamente in nome dell’autonomia della politica, stanno anche difendendo i diritti uguali di tutti i cittadini, anche dei non credenti.
Anch’io voglio poter continuare a pensare un mondo diverso. E lo voglio non perché me lo dice una vecchia ideologia ma perché i fatti, i grandi fatti, ci gridano che in un mondo che non produce più solo merci, oggetti, ma immaginario, servizi, diventa assolutamente necessario far leva sul rinnovato valore del contesto sociale e sull’esigenza di tornare a dare un ruolo centrale al capitale umano. Perciò la vecchia politica non funziona, compresa quella della vecchia sinistra classista. La lotta si fa non meno dura ma richiede nuovi partiti più «sociali», e al tempo stesso meno nomenclatura dell’economico-corporativo.
Il lavoro resta alla base di tutto perché è il suo nuovo valore che ci spinge a pensare la politica in modo nuovo, per misurarla di più sui problemi dell’uomo, l’uomo cittadino, l’uomo lavoratore, l’uomo che pensa, crea, intraprende.
Queste sono le mie idee. Non troveranno il consenso di tutti nel nuovo partito? Forse è così, anzi sarà così. E allora? Allora si farà un dibattito, un confronto,(il cui esito dipenderà dai consensi di milioni di persone, tra cui i nostri). Perciò noi non dobbiamo «nominare» ma eleggere una assemblea costituente. E dobbiamo chiamare al voto milioni di persone. Altro che scissione.
martedì 3 aprile 2007
Nuovi organismi dirigenti DS

Ecco l'elenco delle compagne e dei compagni della Valdisieve eletti negli organismi dirigenti del partito provinciale e regionale e delegati ai congressi regionale e nazionale. Tutti i nominativi sono in quota Mozione Fassino. Le mozioni Mussi e Angius non hanno eletto o delegato alcun compagno della Valdisieve.
DELEGATO AL CONGRESSO NAZIONALE
STEFANO PROSPERI
DELEGATI AL CONGRESSO REGIONALE
CINZIA FROSOLINI
SONIA TANINI COSI
PAMELA TOZZI
MEMBRO DIREZIONE REGIONALE
STEFANO GAMBERI
MEMBRI DIREZIONE METROPOLITANA
DI DIRITTO
- STEFANO PROSPERI
- ANDREA GERINI
- REMO MAIRAGHI
- TIZIANA IEMMOLO
ELETTIVI
- MARCO MAIRAGHI
- TIZIANO LEPRI
- MARCELLO ULIVIERI
- VITO MAIDA
- IDA CIUCCHI
- MONICA MARINI
- SONIA TANINI COSI
- NICOLETTA AGRICOLI
NOMINATI DA ALTRI
- ALEANDRO MURRAS
- MAURO PERINI
MEMBRO COMMISSIONE DI GARANZIA UN. MET.
CINZIA FROSOLINI