lunedì 14 maggio 2007

La politica spiegata ai quindicenni


di Pierluigi Bersani

Intervento di Pierluigi Bersani tenuto di fronte ad un milgiaio di ragazzi delle scuole superiori nell'ambito del "Compa", Forum della comunicazione che si tiene ogni anno a Bologna. Ampi stralci, da "L'Unità"
17 maggio 2007

Che cos’è la politica? La politica è quella cosa che se non la fai un po’ tu, te la fanno gli altri e non sempre te la fanno come vorresti tu. Credo sia molto importante riflettere, anche alla vostra età, sull’esigenza di avvicinarsi un po’ di più, di capire un po’ di più questo oggetto. Non credo che ci siano regole su come una persona, nella sua vita, possa accostarsi alla politica. Nei miei ricordi, il primo avvicinamento alla politica è legata a un fatto. Avevo 15 anni come molti di voi, quando avvenne la famosa alluvione di Firenze. Io, senza essere un “angelo del fango”, come si dice adesso, andai - impressionato dalle cose che si dicevano in tv - a questo grande appuntamento di solidarietà.

Ci trovammo lì in migliaia di giovani. Perché facemmo questa cosa, che cosa scattò? Un’idea di solidarietà, certamente: vedevi un disastro così grande e ti dicevano che potevi fare qualcosa! Un’idea di libertà: andare via per 15 giorni, fare qualcosa di utile assieme a tanti altri giovani.

Io ero uno che veniva dalla collina, andavo anch’io a scuola in corriera, sono sempre andato con questo mezzo a scuola. A 15 anni trovarsi insieme a migliaia di altri giovani è una sensazione di libertà incredibile; a ciò si aggiunse una sensazione di partecipazione, di auto-organizzazione, perché ci organizzavamo da noi: fare le squadre e andare ad aiutare; ti davano il badile, ti davano la carriola, andavi e poi, alla sera, accendevi il fuoco e magari ci facevi il girotondo attorno, cantavi; allora si sentivano i Beatles, qualcuno aveva la chitarra e via e ti batteva il cuore.

In questa idea, in questa sensazione di protagonismo, di solidarietà, di partecipazione, secondo me, lì è scattata nella testa di molti - e stiamo parlando di una mezza generazione - una certa idea di politica.
L’altra cosa che ricordo, ancora precedente ai miei 15 anni e che non so da dove venisse, è una curiosità attorno a questo tema: cosa è giusto e cosa è ingiusto? Gli uomini sono uguali? Non so da dove ho ricavato queste domande, ma, per esempio, e può sembrare una stupidaggine, ricordo le discussioni che facevo con gli amici sui fumetti o sui film western. Allora si andava al cinema, c’erano tanti film western ed il problema era di capire chi stava con gli indiani o con i bianchi. La discriminante, la differenza era quella di chi sviluppava questo concetto: ma, insomma, gli indiani erano lì anche prima, perché sono andati a rompergli le scatole?

Mentre c’era chi sviluppava il concetto secondo il quale la civiltà dovesse andare avanti e schiacciare questi "barbari". In discussioni di questo genere mi è spuntata l’idea di una comune umanità, l’idea che tutte le donne e tutti gli uomini del mondo hanno diritti uguali ed uguale dignità. (...)

Per noi occidentali il concetto fondamentale di politica deriva dalla cultura greca. I grandi filosofi all’origine del pensiero greco si sono occupati di questo, e la politica è comparsa come una specie di scienza su che cosa è giusto o ingiusto, su che cosa è bene o è male per la città.

Questa è stata l’origine della discussione politica che poi ha avuto degli sviluppi interessanti. Grosso modo questa discussione ad un certo punto è diventata - per esempio in Platone - la discussione su quale sia il governo ideale; in Aristotele invece, su quale sia il miglior governo possibile. Questi sono due modi di ragionare un po’ diversi, che hanno una coda lunga, lunga, che arriva fino ad oggi. Io vorrei segnalarvi una precauzione, anzi, due precauzioni. La prima: se tu immagini un mondo ideale, devi stare attento a non esagerare perché con questa idea di un governo perfetto, di una società perfettamente giusta, spesso si sono provocate delle crudeltà, cioè si è sacrificato l’uomo di oggi in nome dell’uomo di domani, della felicità di domani, della società giusta di domani: "intanto ammazzo quello di oggi perché voglio arrivare all’uomo felice di domani". E’ pericoloso!

Vi regalo un’avvertenza anche per l’altro tipo di pensiero: scegliamo il miglior governo possibile. Giusto, ma attenzione che non diventi cinismo, che non diventi sfiducia nella possibilità che la politica generi miglioramento, cambiamento, perché a volte, ancora adesso, si dice: "Ma cosa vorrai mai, tanto sono tutti uguali!Prendiamo quel che passa il convento, prendiamo il miglior governo possibile date le condizioni!". Questo non va bene, perché, se la politica perde il senso del cambiamento, della possibilità di miglioramento, perde l’anima.
Quale sarebbe, allora, la strada giusta? Io non ho la ricetta, però mi ha sempre impressionato quello che proprio Platone diceva in una delle sue più importanti opere, "La Repubblica". Egli diceva: "So anch’io che quello che vi sto descrivendo come modello ideale non esiste e non esisterà, ma infatti il problema non è che esista quel governo ideale, il problema è avvicinarsi ad esso per quel che si può", e in questo c’è una giusta tensione verso un cambiamento che non promette il paradiso.

Una politica buona ed un governo buono, secondo me, vogliono dire non dimenticare mai i valori, l’urgenza morale, il perché fai politica, ma pretendere che questi valori diventino almeno in parte dei fatti, fatti concreti, fatti immediati, visibili. Quando si parla di "riformismo", in fondo, si dice questo. La parola "riformismo" vuol dire prendere dei valori, guardarli e cercare di tradurli in fatti concreti, anche parziali, anche limitati. Poi la scuola vi dirà altre cose, magari quando leggerete (se non l’avete già letto) Machiavelli, e cioè che la politica è anche un’arte, una tecnica. Attenzione, perché è importante questo concetto: se vuoi raggiungere un buon fine, non pensare che arrivi da sé. Devi stare attento a come conduci le cose perché, magari, non ci arrivi o arrivi al contrario. Quindi la politica richiede qualche competenza.

Diciamolo pure: non è detto che il primo che si alza al mattino sia già capace! La politica richiede un percorso, una formazione e contiene un certo specialismo. Per dirlo in maniera semplice, non è che il miglior primario chirurgo d’Italia sia per forza il miglior ministro della Sanità; non è che chi ha azzeccato tutti i suoi affari nella vita professionale, improvvisamente, diventi il miglior governante, non è detto!

L’idea che la politica abbia una sua disciplina, una sua formazione, non deve però portare, anche qui, all’errore opposto; a ritenere cioè che la politica sia un fatto quasi da iniziati, esoterico, e che possa essere capita solo da chi la fa, perché chi è fuori non ci capisce niente! La benzina della politica non è la specializzazione, ma è la partecipazione, altrimenti la macchina non va!

Come si fa, allora? (...) Ci sono stati luoghi di formazione, pensate alla guerra di Liberazione: lì c’è stata una scuola di politica col fucile alle mani! Pensate a tutte le scuole di partito; pensate anche a percorsi che sono, per esempio, di costruzione di movimenti, sentieri culturali, esperienze di fede. Pensate cioè a percorsi che comunque hanno sfiorato, avvicinato la politica. Parecchi di questi percorsi si sono persi ed uno si può chiedere: che cos’è, allora, che seleziona la politica? La televisione? Chi è bravo in televisione? Allora diciamo che il miglior chirurgo d’Italia non è il miglior ministro della Sanità, ma che il ministro giusto è quello più efficace in tv nel parlare di Sanità? Non credo!

Per quale via, allora, troviamo la soluzione? Credo che non ci sia altra strada che mettere il politico, colui che si interessa di politica alla prova della partecipazione, alla prova dell’amministrazione pubblica, alla prova della presenza attiva in organismi, organizzazioni o movimenti.
È difficile fare il ministro, se non hai fatto una volta l’amministratore o il sindaco, o se non hai guidato un movimento o un’associazione, insomma, se non hai maturato un’esperienza che ti consenta di essere selezionato, e senza che la gente abbia visto da vicino che cosa riesci a combinare. Questo è molto importante. E’ così in tutti i Paesi del mondo. Se voi guardate tutti i Presidenti degli Stati Uniti, tutti i Presidenti della Germania, della Francia, etc., vedrete persone che prima hanno governato qualcosa, che non sono nate sotto il cavolo! Bisogna immaginare, quindi, una politica che sia molto vicina all’arte di governo, perché quest’ultima consente un giudizio da parte dei cosiddetti governati, ti mette alla prova e può farti misurare per quante cose giuste fai e per quanti errori fai.

Detto questo, penso la politica sia scienza, sia arte, tecnica, formazione; in ultima analisi tuttavia - e torno dove ho cominciato - c’è un’urgenza morale in chi si accosta alla politica. (...) Questa urgenza morale, in fondo, si esprime nel superare la freddezza del termine "io" ed arrivare al termine "noi"; che non sia solo "noi" inteso come la famiglia, "noi" come i miei amici, "noi" come la mia corporazione, il mio mestiere, ma che sia un "noi" dove c’è dentro il bianco, il nero, il vicino, il lontano, l’uomo, la donna, il vecchio, il giovane; un insieme insomma, dentro al quale stia quella cosa che non possiamo non chiamare "umanità".

Questo concetto è importantissimo perché il paradosso è che in questo "noi" ci deve stare non solo l’uomo, la donna, il lontano, il vicino, ma anche quello di Destra e quello di Sinistra, attenzione, perché una politica che sia odio non è una politica, non può esserlo, è una contraddizione in termini! Tu potrai gestire le tue convinzioni con animosità, con forza, con determinazione, con testardaggine, ma non fino al punto di odiare chi non la pensa come te perché, allora, tu distruggi la politica, dimentichi il fatto fondamentale della politica, dimentichi che cosa è la città: la nostra città è quella cosa rotonda che sta girando nello spazio e sulla quale siamo tutti, quelli di Destra e quelli di Sinistra, e solo per un po’ di tempo.

Se non riusciamo a trasmettere questo tratto di fondo, che sta al di sotto di ogni scelta politica e viene prima di essa, noi non possiamo fare una buona politica. Alla fine seminiamo aggressività, seminiamo solo inutile zizzania, cattiveria, violenza.

Questo concetto bisogna intenderlo in senso molto largo. Alla vostra generazione capita di descrivere questo "noi" in un passaggio crucialissimo, che si può ben simboleggiare nel secolo che è passato, dal XX al XXI secolo. Qui c’è un passaggio rilevantissimo per definire questo "noi" ed io spero che riflettiate su che cosa si può portare nel nuovo secolo rispetto a quello passato, che ve ne facciate una ragione, che vi aiutiate l’uno con l’altro a farvi una ragione di questo.

Il secolo che è finito è stato un secolo terribile, nel quale la politica ha dato il meglio ed il peggio di sé, assieme, con fatti di enorme novità e con drammi di portata - ci auguriamo - irripetibile. Quindi ci siamo "scottati" di politica, ma abbiamo anche visto che cosa di buono può venirne.

Io spero che voi portiate di là, nel secolo nuovo, alcune cose fondamentali. La democrazia, innanzitutto. E lasciamo stare quanto sia imperfetta! Fa una bella differenza avere sempre più Paesi con Costituzioni democratiche, avere una Carta dell’Onu con l’affermazione dei diritti universali! Questo ce lo ha dato il Novecento. Provate anche a riflettere su cosa ci ha dato il Novecento per quanto riguarda l’emancipazione della donna, la condizione femminile. Provate a fare una scansione storica: pensate a cosa sono stati i millenni precedenti e a che cosa è successo improvvisamente, in pochi decenni dal punto di vista dell’affermazione, ancora parziale, di un ruolo della donna! La prima volta in cui le donne hanno votato da noi è stato nel 1946: la prima volta in cui sono stati riconosciuti alle donne i diritti politici, una rivoluzione!
Pensate al lavoro: all’inizio del secolo passato, anche in Italia, lavoravano nelle miniere bambini di 13 anni per 13 ore o più. Guardate cosa sono diventati i diritti del lavoro! Certamente ci sono tante cose da fare ancora, ma quale cambiamento ci ha portato il ’900!

(...) Io penso, allora, che queste e altre cose che ci portiamo del vecchio secolo devono, però, confrontarsi con i problemi del nuovo secolo. Voi dovrete sbrogliarli! Come? Innanzitutto dandovi strumenti. Il vecchio secolo ha prodotto, oltre alla democrazia, anche un modo di organizzarsi: le associazioni, i movimenti, i Sindacati, i partiti grandi partiti di massa sono un’invenzione del ’900. Qualcuno ha detto che i partiti sono la democrazia che si organizza, cioè il modo di raccogliere e di fare entrare dentro lo Stato delle volontà collettive. I limiti dei partiti si sono visti via via: rischi di burocratizzazione, di faziosità, di chiusura, anche di fronte, ad esempio alla fantasia, alla volontà di entrare delle nuove generazioni.

Attenzione alle alternative, però. Senza associazioni, senza partiti che cosa c’è? Decidiamo che c’è la tv? Decidiamo che dovrà esserci un moderno Principe che si afferma, secondo logiche che ancora non abbiamo capito quali possono essere? Un Grande Fratello? Magari nelle forme di un potere mediatico, o tecnologico,o economico? Credo che in questo crinale, in questo passaggio di secolo, dobbiamo dirci: partiti, sì, ma non così! Bisogna riformulare queste organizzazioni e riformularle alla luce dei problemi nuovi che, ripeto, dovrete sbrogliare voi. (...)

Io faccio qualche pronostico: voi discuterete fra non molto, necessariamente, di una cosa che si chiamerà "governo democratico del mondo", anche se sembra esagerato dire così. Questo perché il mondo si sta facendo molto piccolo, quel che succede in Cina ci riguarda immediatamente. Ci sono fatti che non riusciamo a dominare. Per esempio, dopo la caduta del muro di Berlino e la logica dei blocchi, di cui avrete sentito parlare, la pace e la guerra. C’è qualcuno che ha in mano un minimo di regolazione di questo rischio?

La proliferazione delle armi nucleari. C’è qualcuno che ha in mano questo rischio? I grandi fatti ambientali: il riscaldamento della Terra. C’è qualcuno che ha in mano questo rischio? Oppure, per esempio, il confronto-scontro, di cui si parla tanto oggi, fra le cosiddette civiltà. C’è qualcuno che ha in mano questo rischio? Oppure il fatto che la ricerca sensibile, la scienza siano ormai a portata di mano in tanti luoghi ed in tante realtà, di qualcuno male intenzionato; oppure la Finanza che sposta convenienze, risorse, e - da un giorno all’altro - può far star bene un Paese e far star male un altro, e tu non capisci da dove parte, dove si muove e per quali logiche.

Questi sono tutti fenomeni che vanno controllati, ma non devono metterci in allarme. È sempre stato così, non è la prima globalizzazione. Globalizzazione che cosa vuol dire? Vuol dire che gli scambi crescono di più rispetto alla crescita dell’economia, il famoso Pil, cioè il Pil cresce - ad esempio - di 2 punti, gli scambi crescono di 4 punti, il che crea un effetto giostra con ridistribuzione del lavoro, delle merci e della ricchezza, che ti impressiona.

Non è la prima volta però che, quando cresce la globalizzazione, accadono cose che tu non controlli e che non vedi dall’inizio. Pare assodato che la peste che arrivò in America pare dopo Colombo e che sterminò (non essendo pronti a combattere microbi del genere) milioni di indios, fu portata da una nave spagnola che arrivò lì più o meno nel 1530, la quale aveva dei topi che avevano le pulci della peste. Io credo che, se gli spagnoli avessero saputo che sulla loro nave c’era la peste, non l’avrebbero portata. Non avevano alcun interesse a diffondere l’epidemia tra gli indios; ma non lo sapevano, non padroneggiavano quel particolare effetto della globalizzazione. Noi, quindi, dobbiamo padroneggiare i rischi della nuova globalizzazione. Ci vuole una discussione a "livello mondo" sui temi di cui vi ho parlato adesso.(...)

Arriviamo ai temi di oggi. Sentirete o leggerete sui giornali qualcosa sui problemi della Finanziaria e su altri temi che avrete tempo per apprendere. In sostanza i debiti che abbiamo oggi, come Stato, o cominciamo a pagarli oppure vanno sulle generazioni future, c’è poco da fare! Per cui noi dobbiamo fare lo sforzo di cominciare a pagarne qualcuno oggi. Difendere troppo le garanzie delle professioni e dei mestieri significa togliere ad un giovane la possibilità di fare più facilmente quello che vuole fare, come il farmacista, il tassista, l’avvocato e così via.

Per avere, quindi, un domani più accogliente per voi, bisogna che noi ci scomodiamo un po’ adesso e ciò vuol dire scomodare anche le famiglie, scomodarci un po’ tutti per poter stare meglio dopo. Io non vorrei stare sempre con chi tiene chiuse le porte; vorrei stare con chi bussa per entrare! (...) Se scommetti qualcosa sul domani, investi bene quello che hai oggi. Se vuoi che domani il mondo sia un po’ meglio di quello di oggi non puoi usare le tue forze solo per difendere quello che c’è. Devi cambiare le cose, almeno un po’. Questo mi pare il senso vero della politica.

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