venerdì 31 agosto 2007

Anna Finocchiaro: «Fedeltà a Prodi ma guardiamo al futuro»

di Simone Collini - l'Unità, 30 agosto 2007

«Ma qualcuno pensa che con simili discussioni noi motiviamo le persone a partecipare alla fase costituente del Partito democratico?». Anna Finocchiaro non lo pensa. La polemica «incomprensibile» di Arturo Parisi nei confronti di Walter Veltroni ma anche Rosy Bindi che parla di candidatura degli apparati. Per non parlare di Rifondazione comunista che ne approfitta per sostenere che il Pd destabilizza il governo.

«La capogruppo dell’Ulivo al Senato, che alle primarie di ottobre si candiderà nella lista caratterizzata dai temi dell’innovazione (quella lanciata a fine luglio da Melandri, Realacci, associazioni giovanili ed esponenti della Cgil) è piuttosto preoccupata: «Questa doveva essere una fase attraente, durante la quale ciascun candidato segretario avrebbe naturalmente potuto mostrare la sua diversità rispetto agli altri, ma senza mai mettere in discussione la volontà e l’ambizione di ciascuno di costruire uno stesso partito».

Invece, presidente Finocchiaro?
«Assistiamo a discussioni che non rendono allettante il dibattito sul Pd. E questo non può che essere un problema se vogliamo fare un grande partito dei riformisti, aperto, plurale, che riesca a raccogliere forze che non sono esclusivamente quelle dei partiti di partenza e che abbia una vocazione maggioritaria. La discussione va fatta sui contenuti, sui progetti, non si può parlare in continuazione di due temi che considero, invece, totalmente fuori discussione».

E sarebbero?
«La fedeltà a questo governo, che è l’unico possibile e che va sostenuto in ogni modo, e il fatto che stiamo partecipando a un’operazione che è tutto tranne che la sommatoria di due partiti, e tanto meno di due apparati. Queste due questioni sono fuori discussione. Se invece continuano a rimbalzare, come è avvenuto in questi giorni, allora sì che il dibattito appare davvero tra ceti politici, da notabilato».

Possibile che la cosa sfugga a uno attento come Parisi, che se l’è presa con Veltroni perché ha detto che il suo obiettivo è consolidare e non sostituire Prodi?
«Non le ho capite le argomentazioni di Parisi. È un mio limite naturalmente, ma ho ascoltato il discorso che ha fatto a Telese e non l’ho capito».

E però se la spiega in qualche modo questa uscita?
«Quello che vedo è un limite complessivo della discussione in atto. E cioè che stiamo ragionando come se ci trovassimo in un quadro immutabile di scenari e di vincoli. Dove vincoli non necessariamente è usato in un’accezione negativa».

Che cosa vuole dire?
«Eravamo partiti da un’altra idea rispetto al Pd, e cioè che poiché non bastavamo più al paese dovevamo costruire un grande partito che avesse l’ambizione di essere maggioritario, che fosse in grado di raccogliere classi dirigenti, associazioni, personalità, che coinvolgesse milioni cittadini, un grande partito dei riformisti italiani. Questa doveva essere la nostra risposta alla crisi della politica. Ma se continuiamo a muoverci in questo quadro dei vincoli, ogni giorno ci sarà una polemica sul fatto che Veltroni vuole sostituirsi a Prodi o su Rifondazione che dice che il Pd destabilizza il governo. Quando assisto a queste discussioni rimango allibita, anche perché il nostro è il tentativo più serio, impegnativo e anche rischioso che sia stato messo in campo».

Non è che gli altri stiano del tutto fermi, dal Prc all’Udeur.
«Sì, la sinistra sta cercando di costruire la Cosa rossa, l’Udeur persegue una strategia centrista. Ma a maggior ragione ciò dimostra che questo è un passaggio politico che prelude al dopo. È il dopo che dobbiamo costruire. Come è possibile che stiamo inchiodati a una discussione che dà per immutabile lo scenario e i vincoli attuali? Mi pare che stiamo rischiando tutti di perdere un’occasione».

Insomma non è un tabù parlare di alleanze future o ipotizzare che un domani il Pd corra da solo?
«Scusi ma se si decide di liquidare due partiti, di cui uno fondato nel 1921 e l’altro con radici nobilissime, secondo lei lo si fa per fonderli insieme o per dar vita a un grande partito a vocazione maggioritaria? Se non fosse quest’ultima la ragione saremmo dei pazzi».

Però facendo simili ragionamenti oggi si mette in discussione la realtà attuale, obietta qualcuno.
«Non è così. Non si tocca né questa maggioranza né questo programma, tanto per essere chiari. E questo perché il governo Prodi garantisce in questo momento al paese il massimo possibile di equità, sviluppo, diritti, innovazione, riforme. Ma dobbiamo costruire il futuro. E sappiamo quali sono i tempi della politica. Forse qualcuno pensa che bastino uno o due anni per costruire uno scenario politico diverso? Con il Pd noi stiamo cambiando il sistema politico italiano, perché abbiamo capito che questa è una delle questioni di blocco della nostra democrazia e dello sviluppo del paese, della sua modernizzazione».

Lei guarda lontano ma ci sono problemi più immediati: Giordano si dice pronto a ridiscutere il governo se Rutelli o altri puntano a modificare il programma dell’Unione.
«Noi dobbiamo continuare a lavorare per nutrire il programma. Una discussione politica tra alleati, per di più in una situazione così difficile per il paese che ha la pressante necessità di essere rimesso in movimento, non può essere fatta a colpi di ultimatum».

Dice Giordano: dobbiamo riprendere la connessione sentimentale con il nostro popolo.
«Benissimo, un’espressione gramsciana che io amo. Ma la connessione sentimentale in questa situazione dobbiamo stabilirla col paese. Non possiamo pensare, visto che siamo al governo e non all’opposizione, di costruirla uno contro l’altro, creando ulteriori barriere, divisioni, conflitti. Spinte diverse nella coalizione ci sono e bisogna gestirle politicamente con saggezza, con prudenza, e soprattutto senza sacrificare la possibilità di un cambiamento, per tutti positivo. In queste condizioni, il tutto e subito se no me ne vado non può funzionare».

Lei si candiderà in qualche lista, il 14 ottobre?
«Sì, in quella che nasce dal manifesto “ambiente, conoscenze e lavoro”».

Perché ha scelto questa lista piuttosto che quella in cui si candideranno la maggior parte dei dirigenti dei Ds e della Margherita?
«Il Pd ha la necessità di tenere nella propria anima l’essenza moderna e positiva della sinistra italiana e noi dobbiamo disseminarci come il sale della terra».

Il sale della terra?
«È una battuta naturalmente, non voglio paragonarci a tanto. Seriamente, c’è la necessità politica che ci si mischi già nelle liste. Io voglio dare il mio contributo ad una lista che per apertura e “mescolanza” di soggetti somigli davvero molto all’idea di Pd che ho».

Ha mai pensato di candidarsi a segretario nazionale?
«Brevemente».

Pentita di non averlo fatto?
«No, perché quando Veltroni ha dato la sua disponibilità ho capito che quella era la soluzione migliore e la prospettiva più unificante».

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