sabato 9 giugno 2007

Basta sinistra di lotta e di governo, quel mito andava bene per Togliatti

Il ministro degli Esteri attacca l'opposizione: dissennato parlare di Italietta. Poi avverte Prc, Pdci e Verdi

D'Alema: la gente vuole un Paese che cresce, è stufa dei casini...
di MASSIMO GIANNINI

ROMA - Lezioni americane. Ora che Bush ha lasciato l'Italia, si può azzardare un bilancio di questa visita che era insieme attesa e temuta, per ragioni uguali e contrarie, dalla maggioranza e dall'opposizione. Massimo D'Alema ne vede almeno due, di insegnamenti possibili. Il primo riguarda questa dissociata "sinistra a due piazze" vista all'opera per le strade di Roma: "Il ciclo dei partiti di lotta e di governo è finito, la gente non li capisce, non li apprezza più".

Il secondo riguarda questa dissennata "destra a più voci", vista all'opera nei comizi elettorali e negli studi tv: "Parlare di Italietta e scommettere sempre sul peggio, con il solo scopo di dare la famosa spallata al governo, è un gioco sciocco e irresponsabile, non paga più".

Il ministro degli Esteri è alla vigilia della sua partenza per la Turchia. Ma non si sottrae a una riflessione politica, sulla "due giorni" italiana del presidente degli Stati Uniti. "Il vertice è andato molto bene - osserva - loro hanno capito e apprezzato le nostre posizioni. Vede, gli Stati Uniti sono in una fase piuttosto difficile. Hanno bisogno di alleati sinceri come l'Italia...".

Gli Usa escono da una lunga fase nella quale hanno dettato la loro nuova dottrina "teo-con" al pianeta. L'idea di "esportare la democrazia", per quanto discutibile e velleitaria, è stata al centro del dibattito internazionale e della strategia americana di questi anni. Ma i frutti di quella semina non si vedono. Bush lo ha capito. E per questo cerca una via d'uscita. E cerca alleati con i quali discutere.

L'Italia, oggi, gioca esattamente questo ruolo: "L'America è un grande Paese - osserva D'Alema - e Bush ha capito perfettamente che il nostro governo è leale, ma certo meno allineato del precedente. Ma ha capito anche che oggi possiamo offrirgli due asset che il governo Berlusconi non aveva. Il primo: noi siamo oggettivamente più forti in Europa. Il secondo: noi siamo oggettivamente più credibili nel mondo arabo".

Da qui, per il ministro degli Esteri, arrivano i riconoscimenti pubblici che il presidente americano ha tributato a Prodi. Sull'Afghanistan, sul Libano, persino sull'Iran e sulla Siria. "Con Washington siamo riusciti a costruire un rapporto più indipendente e più libero, rispetto al passato. Questo scandalizza i "camerieri locali", ma non certo gli americani". In questo lavoro di ricucitura, secondo D'Alema, non è stato d'intralcio il ritiro italiano dall'Iraq, e meno che mai il limitato contributo italiano alla missione in Afghanistan.

"Cambiamento delle regole d'ingaggio, caveat da rimuovere: sono tutte invenzioni della stampa italiana - taglia corto D'Alema - visto che loro rispettano la sovranità nazionale e queste cose non ce le hanno mai chieste. Sono i primi a sapere che proprio noi diamo il contributo maggiore al peacekeeping, e in Afghanistan abbiamo il doppio dei soldati della Francia. Per questo ci hanno ringraziato".

Lo stesso ringraziamento è arrivato per il Medioriente. "L'unico punto di difficoltà - riconosce il ministro degli Esteri - lo abbiamo tuttora sull'Iran. L'Amministrazione americana resta ferma sulla linea delle sanzioni, e pone come pre-condizione irrinunciabile per la riapertura di un dialogo quella di fermare le sperimentazioni sull'uranio. La nostra posizione è meno rigida: anche noi siamo per mantenere le sanzioni, ma siamo al tempo stesso favorevoli all'idea di aprire un negoziato che serva a fermare una spirale pericolosa".

Tuttavia, secondo il resoconto del vicepremier, anche il delicatissimo dossier su Teheran, durante gli incontri di Roma è stato affrontato dall'uomo della Casa Bianca senza pretese egemoniche e senza toni ideologici. "L'America è un grande Paese", è il leit-motiv del capo della Farnesina. E Bush, nonostante le critiche che gli si possono muovere, è un politico vero. "Anche il modo in cui ha affrontato la questione dell'incontro con Berlusconi è stato esemplare", commenta D'Alema. "L'ha gestita con grande correttezza, consultandosi prima con Prodi, chiedendo se quell'incontro avesse rappresentato un problema. E poi l'ha affrontato con modalità discrete e niente affatto "invasive". E' stato un gesto di grande attenzione politica. Un segnale di fair play, che ho molto apprezzato".

A rovinare il "presepe" fin troppo idilliaco raccontato da D'Alema, tuttavia, hanno provveduto due diversi radicalismi. Da un lato i cortei della sinistra, dall'altro lato gli anatemi della destra. E qui siamo alle "lezioni americane", che il vicepremier prova a trarre da questo weekend italiano.

"Alla destra che ha strepitato e a ha parlato di Italietta c'è poco da dire. Hanno perso, perché hanno scommesso tutto sulla drammatizzazione, che poi invece non c'è stata, per lo meno non nelle forme catastrofiche che qualcuno aveva ipotizzato. Questo è motivo di profonda amarezza: c'è una destra che scommette sempre sul peggio, e un'opposizione del genere non esiste in nessun Paese del mondo. E' evidente l'assillo esistenziale di Berlusconi, che ha fretta di far cadere il governo perché vuole tornare al più presto a votare. Ma non capisce che sulla piattaforma esclusiva delle elezioni anticipate non si mobilitano né gli italiani, né i suoi stessi alleati?".

Ma l'altra lezione americana, forse quella più importante, riguarda la sinistra. "Il vero evento di questo fine settimana - sostiene D'Alema - è stato il fallimento del corteo della sinistra radicale. Io l'avevo detto: se avete delle critiche da muovere a Bush, c'è già un governo che se ne assume la responsabilità, e che gliele esprime apertamente. A cosa serve l'inutile rito della piazza?".

Ora la disperata "sinistra a due piazze" deve riflettere. "Io spero che Rifondazione, il Pdci, i Verdi, traggano il giusto insegnamento da quello che è accaduto. Loro si devono rendere conto che il giochino che chi sta al governo poi va anche a fare i cortei per la strada non funziona più. L'opinione pubblica non lo capisce, e quindi non lo approva".

Ma questo, va da sé, per partiti che hanno fatto del "movimento" la loro ragion d'essere significa quasi rinnegare una tradizione politica. "Parliamoci chiaro: il "partito di lotta e di governo" non è e non può più essere attuale. Quella è stata un'idea geniale di Palmiro Togliatti: sapendo bene che il Pci non sarebbe mai andato al governo, aveva coniato la formula per tenercelo agganciato, evitando che gli sfuggisse per la via dell'estremismo. Oggi quella stagione è morta e sepolta. Oggi noi ci stiamo, al governo. E allora abbiamo solo un dovere: governare, e non scendere in piazza".

Il paradosso, nelle condizioni date e con il rischio che oggi l'Unione perda anche la provincia di Genova, è che i Giordano, i Pecoraro e i Diliberto possano invece trarre da quello che è successo la lezione esattamente opposta: perdiamo consensi perché siamo troppo "governativi". Se fosse così, per Prodi sarebbero guai seri. D'Alema vede il rischio: "Certo, il pericolo che si generi un certo nervosismo esiste senz'altro. Sulle pensioni e sul Dpef potrebbero scaricarsi nuove tensioni. Io spero che non facciano questo errore, spero che non si facciano tentare dall'idea di "spostare più a sinistra l'asse di governo", come si usa dire. Non è di questo che c'è bisogno. C'è bisogno di assecondare la crescita, e di tarare l'azione del centrosinistra sull'idea di una vera e propria "ripartenza". Queste serve, mentre non servono nuovi conflitti. La gente vuole che il Paese sia governato. La gente è stufa dei casini...". Questa, al contrario delle precedenti, è una tipica "lezione italiana".

Nessun commento: